Ho sempre giocato esclusivamente con il fine di divertirmi, ovvero per vincere, perché a perdere non si diverte nessuno. Il divertimento, nell’ambito dei giochi da tavolo, è anche veicolato dalle persone con le quali si gioca, dal loro “stile”, e dalla situazione nella quale ci si trova. É un po’ come gustarsi il proprio piatto preferito: diventa difficile se tra i commensali ci sono frantumazebedei oppure se l’ambiente non è sufficientemente accogliente. Non ho mai voluto provare a partecipare a tornei di giochi da tavolo: non mi è mai interessato giocare con il supernerd di turno che conosce a memoria tutte le possibili combinazioni delle tessere di Carcassonne, oppure con il Rain Man che ti dice che “tanto a Puerto Rico hai perso di 3 punti, anche se mancano ancora 5 turni alla fine”.
Come prima cosa, partiamo dai giochi: in massimo otto ore, si giocano diciotto titoli differenti, apparecchiati in sequenza su quattro tavoli; alcuni giochi sono da hardgamer, altri sono più smart; alcuni sono nuovi, altri dei classici molto conosciuti.
Il secondo aspetto riguarda le squadre, composte da un minimo di quattro giocatori (ad un massimo di sei) che devono distribuirsi i diciotto giochi: non è sempre facile accordarsi con i propri sodali ludici su come dividersi i giochi, rispettando le preferenze individuali e mantenendo qualche chance di rimanere competitivi. Già, dimenticavo la competizione. Anche in questo caso la regola aurea è: “se non vuoi vincere, non giocare”, stay hungry. La fame di vittoria è tuttavia subordinata al desiderio di passare una bella giornata, divertendosi in compagnia di giocatori che, forse, non conosciamo, ma con i quali condividiamo la grande passione per il gioco da tavolo.
Concludendo, vorrei ringraziare chi si fa promotore di queste iniziative: se i tornei multigioco a squadre esistono, è perché c’è qualcuno che ci dedica tempo ed energie. Buon (multi)gioco a tutti!