Ieri, lunedì 16 gennaio, in uno dei gruppi Facebook dedicati ai Giochi da Tavolo, ho avuto il privilegio di assistere alla messa in scena del secondo atto di uno psicodramma degno del conte Mascetti. Il primo atto si era svolto nel forum della Tana e il sipario era calato abbastanza velocemente. Che cosa era successo? un editore aveva chiesto se qualcuno fosse disposto a tradurre un regolamento in cambio di un pagamento in giochi.
Alzo zero e fuoco alle polveri!
La lobby dei traduttori gridò allo scandalo! gli amici e parenti della lobby dei traduttori gridarono allo scandalo! i facinorosi repressi gridarono allo scandalo! gli amici e parenti di alcuni editori concorrenti fecero il trenino gridarono allo scandalo!
Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono.
Improvvisamente i giocatori si accorsero che, oltre al problema delle fustelle decentrate, esisteva anche il problema delle traduzioni “non professionali”. Alla fine l’editore ritirò la proposta, il moderatore intervenne, e tutti tornarono a preoccuparsi del problema della superiorità di Agricola vs Caverna.
Personalmente archiviai il fatto senza darci troppo peso. Forse la casa editrice era stata un po’ troppo “ingenua”: avrebbe potuto sfruttare qualche tecnica di pseudo evangelism marketing per reclutare direttamente (e privatamente) due o tre dei propri cultisti (tutte li hanno); in cambio di qualche copia del gioco avrebbe ottenuto due o tre traduzioni indipendenti.
Poi, ieri, ecco il secondo atto. Qualcuno trova un grossolano errore di traduzione e si riapre il sipario. Partono delle supercazzole allucinanti accompagnate da una serie di schiaffoni virtuali degni di Bud Spencer… e la lobby dei traduttori grida allo scandalo! e gli amici e parenti della lobby dei traduttori gridano allo scandalo! e i facinorosi repressi gridano allo scandalo! e gli amici e parenti di alcuni editori concorrenti continuano a fare il trenino gridano allo scandalo! Serve soltanto qualche picosecondo prima che il sottobosco dei vari “giudici da tastiera” indossi la toga di ermellino, e il cappello di velluto, e inizi a sputare sentenze. C’è chi prova a stimare il possibile costo di un traduttore professionista, chi lancia il guanto di sfida direttamente all’editore, chi prova a fare “l’amico di tutti”. E poi ci sono gli altri 6000 spettatori che si chiedono: “…ah, ma non è Lercio?”.
L’editore purtroppo non ha seguito bene l’affaire Volkswagen (mai rispondere alle accuse ed eventualmente riposizionare la discussione su un altro argomento) e prova a rispondere, a spiegare, a far capire… ma contro la supercazzola prematurata anche gli dei sono impotenti!
Personalmente mi incazzo come un paguro mi infastidisco leggermente quando acquisto un gioco da tavolo che presenta degli errori, siano essi legati alla qualità dei materiali, dei processi produttivi oppure delle traduzioni. Mi da anche fastidio che un editore non faccia nulla per migliorare i propri prodotti oppure la relazione con i propri consumatori/giocatori. Questa volta, però, faccio molta fatica a giustificare questo psicodramma.
Mi dispiace che i traduttori professionali debbano competere con dei semplici appassionati, disposti a farsi pagare in giochi in scatola, anche se forse il prossimo competitor potrebbe essere un software. Mi chiedo anche quanto la qualità di una traduzione professionale incrementi il valore percepito dal consumatore finale, anche in relazione al proliferare di videotutorial che “spiegano come giocare”.
Per me il regolamento rimane un semplice “manuale di istruzioni”: mi deve servire per capire come utilizzare al meglio (e senza errori) il gioco da tavolo; una volta eseguito questo compito diventa inutile, esattamente come le istruzioni del forno a microonde. Come giocatore ho utilizzato, per anni, le traduzioni dei regolamenti reperibili in Tana oppure su BGG; nonostante la maggior parte di esse sia stata effettuata da altri appassionati, reputo che il livello sia sempre stato qualitativamente molto elevato.
Mi permetto due ulteriori considerazioni. La prima osservazione è che esiste da sempre la possibilità di farsi pagare in merce senza che ciò abbia una connotazione negativa/denigratoria/umiliante: il gruppo Next, ad esempio, basa il proprio business sul fornire pubblicità in cambio merce. La seconda considerazione è che tutta questa polemica, degna delle migliori beghe di paese, non giova a nessuno.
Cala il sipario anche sul secondo atto. Prepariamo i popcorn in attesa del terzo.