Se cercate un gioco bello puccettoso, farcito di miniature, stracarico di materiali inutili, superdotato e da “una botta e via”, lasciate perdere. Qui il gioco si fa duro, in stile Splotter. La scatola è in formato A5 e, per aprirla, dovrete affondare la lama e tagliare. Con poche regole, semplicissime, l’autore è riuscito a realizzare un gioiellino capace di offrire un’esperienza di gioco unica. Un piccolo capolavoro… purtroppo non adatto a tutti. Sapete già che non amo “cedere all’HYPE” e che cerco, nei limiti del possibile, di rimanere fedele al mio credo ninja: “dire le cose come stanno”. Questa volta, tuttavia, faccio fatica a valutare il gioco con parametri oggettivi per via della mia formazione scientifica e dell’imprinting ingegneristico: vedo la Matrice ma forse mento non sapendo di mentire.
Leaving Earth (Joseph Fatula, 2015) permette di giocare gli albori della conquista spaziale, il ventennio compreso tra il 1956 e il 1976. I giocatori, a capo delle principali agenzie spaziali mondiali, competono nel raggiungimento di importanti traguardi. In questa corsa allo spazio essi dovranno utilizzare al meglio il proprio budget annuale: svilupperanno nuove tecnologie, le testeranno, gestiranno il rischio di possibili incidenti, assembleranno navi spaziali, pianificheranno missioni sempre più complesse.
Il gioco è “da provare” poiché non è semplice “raccontare” l’esperienza di gioco che ritengo molto particolare. Proverò a mettere in luce qualche particolare, per il resto vi rimando al regolamento, disponibile sul sito del produttore.
LE MISSIONI. In base al livello di gioco scelto, ad inizio partita si pescano, casualmente, alcune missioni di diversa difficoltà (bassa, media, alta). La prima agenzia spaziale che riesce a compiere una determinata missione guadagna la carta missione e i punti vittoria corrispondenti. Le missioni sono l’unico mezzo per ottenere punti.
LE TECNOLOGIE. Le agenzie spaziali possono investire in nuove tecnologie. Alcune tecnologie rappresentano un prerequisito per l’acquisto di determinati componenti (utilizzati per l’assemblaggio di navi spaziali). Le tecnologie disponibili sono dieci: quattro tecnologie per i razzi vettore (dal Juno al Saturn), il landing (per atterrare su corpi celesti sprovvisti di atmosfera), il re-entry (per resistere al calore dell’ingresso nell’atmosfera), la tecnologia survey (per esplorare i corpi celesti), il rendez vous (per assemblare e disassemblare componenti nello spazio), il Life Support (per mantenere in vita gli astronauti in caso di missioni pluriennali).
Le tecnologie appena scoperte non sono del tutto affidabili e c’è la possibilità che qualcosa vada storto. La meccanica per “simulare” la gestione del rischio è semplice ma efficace: ogni tecnologia entra in gioco con tre carte outcome, pescate a caso coperte (e senza che nessun giocatore le guardi), da un unico mazzo; tutte le volte che si utilizza una tecnologia si pesca a caso una delle tre carte presenti su di essa. Esistono tre tipi di esito: successo oppure due tipi di fallimento (minore oppure maggiore). Dopo aver applicato l’effetto della carta, il giocatore decide se tenerla oppure se pagare per eliminarla (rendendo la tecnologia più sicura); ovviamente è meno costoso investire per eliminare un difetto che si è manifestato piuttosto che per migliorare una tecnologia apparentemente sicura e funzionante. Una tecnologia senza carte è considerata sicura e funzionerà nel 100% dei casi.
Come avrete intuito, il tradeoff è spietato: investire più risorse e tempo per aumentare la sicurezza delle tecnologie, oppure accettare il rischio e affrontare le missioni prima degli altri? (sperando che la sonda non ci esploda atterrando su Marte, oppure non si guasti il modulo di supporto vitale…)
MASSA, SPINTA E MANOVRE. Il Terzo aspetto molto scacciafiga interessante riguarda le manovre, ovvero lo spostamento delle nostre navi spaziali da un luogo ad un altro. Per completare una missione è necessario programmare (ed eseguire) correttamente una sequenza di manovre; più la missione è difficile e più è complicata la sequenza da pianificare. Le manovre sono il cuore del gioco.
Le manovre sono sempre caratterizzate da tre aspetti: la massa del carico che voglio spedire (payload), la difficoltà della manovra (indicata sulle carte che formano il piano di gioco) e la spinta propulsiva minima che devo fornire (tramite l’accensione dei razzi). Fortunatamente c’è una tabellina (semplice semplice) che permette di calcolare, in base alla manovra e al tipo di razzo, il payload massimo trasportabile. Ovviamente, nel caso di più manovre in sequenza, dovremo anche considerare la variazione della massa data dall’accensione dei razzi nelle varie manovre.
Alcune manovre impongono dei vincoli aggiuntivi, possono richiedere più anni (turni di gioco) oppure richiedono particolari tecnologie per essere eseguite con successo (landing, re-entry).
Tecnologie, Missioni e Manovre sono gli elementi base del gioco, mentre i principali fattori limitanti sono il budget annuale e lo scorrere del tempo ( al massimo 20 turni di gioco). La gestione del rischio è fondamentale: spesso vi troverete a pianificare (ed eseguire) manovre con l’unico scopo di testare degli avanzamenti tecnologici prima di “attaccare” una particolare missione.
Qualora qualcuno fosse interessato al gioco, suggerisco nuovamente una lettura del regolamento: solo così potrete farvi un’idea precisa delle potenzialità offerte dalle meccaniche di gioco. Ecco un elenco di alcuni aspetti che ho (volutamente) tralasciato:
- gli astronauti da assumere (con tre differenti specializzazioni) e che devono essere mantenuti in vita (modulo di supporto vitale, cibo, radiazioni solari);
- i motori a ioni per i viaggi pluriennali (forniscono una quantità fissa di spinta ogni anno);
- l’utilizzo della tecnologia rendezvous per assemblare/disassemblare navi spaziali nello spazio e separare le manovre in differenti fasi;
- la compravendita di tecnologie, risorse, ecc tra agenzie spaziali (è possibile acquistare una tecnologia già resa sicura da un’altra agenzia);
- gli accordi di collaborazione con le altre agenzie (ad esempio per mandare materiale utile, payload, in orbita terrestre tramite l’utilizzo di un unico razzo vettore);
Leaving Earth è un gioco molto profondo e non è adatto, a mio avviso, a giocatori occasionali (oppure troppo “svogliati”): richiede almeno un paio di partite per entrare in confidenza con i “comandi di volo”. Pur essendo molto “calcoloso” (tranquilli sono semplici addizioni e moltiplicazioni!) richiede anche una buona dose di creatività ed intuito per effettuare pianificazioni “ardite” ma efficaci. Per la prima partita, può essere utile giocare in squadre da due giocatori per agenzia spaziale.
Uno dei cinque migliori giochi provati negli ultimi due anni!! (almeno per me)
Scusate, mi è scappato l’HYPE.
Nell’agosto di quindici anni fa sedevo su una spiaggia di Tulum con due amici, di quelli veri. Stelle limpide, in mano l’ultima cerveza e sullo zaino la polvere di venti giorni di viaggio. Si discuteva di armi, acciaio e malattie, dei massimi sistemi e di qualche decisione presa perché sennò la prendono gli altri per te. Uno dei due sarebbe partito, di lì a qualche mese, per Darmstadt, in Germania, per lavorare in ESOC al progetto GOCE: una cosa temporanea, di un paio d’anni… giusto per provare. Quindici anni dopo vive ancora in Germania, sempre a destreggiarsi con traiettorie, payload, manovre e costellazioni di satelliti; e sempre con la testa tra le stelle. L’altro amico le stelle le ha raggiunte. Giocare Leaving Earth me li fa ricordare. Ed entrambi mi mancano, molto. Per aspera ad astra.
Leaving earth. Stavo per comprarlo ma ho evitato un proiettile pare. Al contrario di quanto dice il recensore trattasi di Hype totale (che non centra nulla con miniature e simili come in questo caso si vuol far credere). Setup infinito, materiali scadenti, stile piuttosto curato. Il problema è il gioco. Forse buono in singolo, completamente superficiale in tanti. Il 90% del gioco (nemmeno tanto difficile una volta comprese le tabelle payload) è la pianificazione delle missioni. Peccato che questo avvenga durante un solo turno (come troverete scritto da moltissimi utenti) mentre per il resto si tratta solo di testare più o meno i pochi componenti (semplice pesca carta, paga soldi) soprattutto i razzi. Il perfetto esempio di design vincente applicato a meccaniche lacunose. Il problema è che dopo 2 partite al massimo diventa più che inutile, potendo riciclare l’unica strategia ottimizzata (se si sa un minimo di matematica la strada giusta è una sola).
Mi sfugge il riferimento a miniature ed altro. Il Setup richiede 5 minuti, il tempo di mettere sul tavolo una ventina di carte. Testare i componenti è uno degli aspetti fondamentali ma puoi anche acquistare tecnologie e componenti dagli altri giocatori. Se non ti assumi rischi difficilmente riuscirai a vincere.
Ogni partita hai obiettivi differenti… sicuro di aver applicato bene tutte le regole?
Acquistato dopo avere letto recensione; ottimo gioco e con ambientazione che si sente tutta.
Prese anche le due espansioni che consiglio!