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Dead of Winter: A Crossroads Game

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Ludicamente parlando, mi reputo onnivoro. Sono poche le dinamiche e le meccaniche che fatico a digerire. Se posso, tendo ad evitare wargames e skirmish. Con i giochi cooperativi, invece, non ho alcun problema.

Tralascio di addentrarmi in supercazzole riflessioni riguardanti le peculiarità di questo tipo di giochi, e i loro punti di “debolezza”. Giocatore Alpha oppure no, i giochi cooperativi non a tutti possono piacere: a qualcuno cooperare non piace a prescindere, sia che si tratti di un gioco da tavolo, sia che riguardi la vita reale. 

Tra i titoli di questa categoria, che apparecchio sempre volentieri, ci sono Pandemic, Shadows over Camelot e Battlestar Galactica. Generalmente prediligo i “cooperativi imperfetti”… quelli con il “traditore” nascosto, per intenderci. Il motivo è semplice: la maggior parte dei cooperativi si basa su meccaniche di tipo “Tower defense (con i giocatori che devono proteggersi e resistere agli attacchi del gioco) con algoritmi di attacco di tipo incrementale. Il “traditore” aggiunge due elementi non codificabili: l’immenso potenziale della creatività umana (ahimè, anche nel far del male) e la strisciante erosione carsica  del “sospetto paranoico”.

Dead Of Winter (Jonathan Gilmour, Isaac Vega, 2014) mi ha lasciato un’ottima impressione. Pur avendo giocato soltanto la partita introduttiva, credo di aver scorto delle ottime idee che sono anche state implementate molto bene. Le meccaniche base includono un tower defense con checkpoint (sotto forma di “carte crisi”) e possibile traditore.

Dal punto di vista “grafico” e dei materiali, nulla da dire: tutto di buon livello e che aiuta ad entrare nell’atmosfera di gioco. Mi è piaciuta l’idea di optare per segnalini in cartone e semplici basette in plastica. (Per la descrizione dettagliata del gioco vi rimando a Balena Ludens)

Ecco alcuni elementi che mi fanno ben sperare, anche per le partite future.

Gli obiettivi personali obbligano, anche se non si è il “traditore”, a dover perseguire strategie sub-ottimali (dal punto di vista del gruppo/colonia) per evitare di perdere. Con questo semplice espediente si è quasi eliminato il problema (per chi lo vive così) del “giocatore Alpha”: “Perché hai messo quella barricata?? è inutile! potevi cercare del cibo in più!”. “Ma vuoi una badilata sui denti?? se l’ho fatto ho i miei motivi”… e così via. In aggiunta, anche in assenza di un reale traditore, viene mantenuto alto il livello del “sospetto paranoico”.

La colonia rende molto bene l’idea di gruppi di superstiti che devono sopravvivere insieme pur avendo obiettivi diversi. Occorre ponderare bene ogni decisione: spostare dei personaggi in luoghi periferici per diminuire la richiesta di cibo con il rischio che si infettino; far rientrare chi è ferito, magari per essere curato, sapendo che ciò potrebbe contagiare la colonia. È interessante anche la possibilità di usare il cibo, risorsa condivisa, per potenziare i dadi azione personali. La colonia è in un perenne stato di “equilibrio instabile”: ci vuole molto poco perché tutto finisca in tragedia.

Le carte crossroads (carte trama) inseriscono una dimensione narrat(t)iva che offre ulteriore variabilità al gioco. In ogni turno di gioco le azioni di un personaggio possono innescare particolari eventi (in stile LibroGame) che richiedono di compiere una scelta tra due opzioni differenti.  Ciò introduce un’ulteriore fattore di indeterminatezza capace di mantenere alto il livello di tensione.

Dead of Winter mi è piaciuto. E la prima partita mi ha lasciato la voglia di riprovarlo, assolutamente. L’unico dubbio che mi rimane riguarda la “dipendenza” dell’esperienza di gioco dal livello di coinvolgimento dei giocatori (e dalle loro aspettative): il gruppo sbagliato potrebbe “ammazzare” la partita; ma questo è vero un po’ per tutti i cooperativi.

Ovviamente si può trovare anche su Amazon.

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