Alcuni anni fa, per motivi di lavoro, passai un paio di settimane a Copenaghen. Una delle prime cose che feci fu di cercare un Club di boardgames; per me era già un’abitudine consolidata quella di cercare luoghi in cui giocare, la sera, durante le trasferte. Ho sempre pensato fosse un ottimo modo per incontrare persone autoctone rimanendo all’interno di una “comfort zone” creata da un denominatore comune, i giochi da tavolo. Mentre si conquista un impero, si costruisce una ferrovia oppure un castello, diventa facile chiedere informazioni su dove sia interessante mangiare (non troppo turistico), trovare un negozio specializzato in giochi da tavolo oppure organizzare una gita “fuori porta”. In quella occasione provai un gioco che mi colpì sia per il game design, sia per l’artwork. Faticai un po’ a trovarne una copia, ma quando rientrai in Italia era già al sicuro nel mio bagaglio a mano.
Glory to Rome (2005, Carl Chudyk e Ed Carter) è un gioco che metto in tavola sempre con grande piacere. La spiegazione è semplice e lineare e l’artwork pulito e spartano (almeno nell’edizione che ho io, la black box della Cambridge Games Factory). Mi piace molto l’utilizzo “multiplo” che viene fatto delle carte, usate come ruolo, risorse da costruzione, edifici da costruire e merci vendute. Credo che Glory to Rome sia stato sviluppato parallelamente a San Juan (uscito l’anno prima, il 2004) e non penso abbia subito, in termini di game design, particolari “contaminazioni” anche perché quest’ultimo è basato su meccaniche differenti (di produzione e trasformazione risorse).
Come dicevo, mi piace il modo in cui, con delle semplici carte, sia stato possibile ideare un gioco molto profondo e non banale. I giocatori devono contribuire allo sviluppo dell’Urbe costruendo edifici nei terreni ancora liberi; lo scopo è quello di avere, a fine partita, l’influenza maggiore. Giusto due parole sulle meccaniche, per chi non conosce il titolo. Il gioco è a turni ed è basato su due meccaniche principali: la scelta del ruolo e l’attivazione dell’azione corrispondente.
Nella prima fase, il giocatore di turno dichiara un ruolo giocando dalla mano la carta corrispondente (Patrono, Legionario, Lavoratore, Artigiano, Architetto, Mercante) mentre gli altri giocatori possono decidere se “seguire” (giocando una carta dello stesso ruolo e ottenendo la possibilità di eseguire la stessa azione) oppure “pensare” (pescando carte che da aggiungere alla propria mano). Nella seconda fase, tutti i giocatori che hanno giocato il ruolo dichiarato, oppure lo hanno tra i propri clienti, eseguono l’azione corrispondente.
Le azioni permettono di: assumere nuovi clienti (patrono), ottenere risorse da costruzione (lavoratore e legionario), iniziare la costruzione di un edificio e svilupparne uno in costruzione (artigiano e architetto), oppure vendere le proprie risorse (mercante).
Gli edifici costruiti forniscono un potere particolare e incrementano direttamente l’influenza (da uno a tre punti) che è il “fattore limitante” rispetto al numero di clienti che si possono ingaggiare e al numero di risorse che si possono vendere (l’influenza equivale ai “punti vittoria” finali). Aumentare il numero (e il tipo) di clienti vuol dire aumentare il numero delle azioni compiute nel singolo turno (ogni cliente permette di compiere l’azione corrispondente) mentre le merci vendute danno punti a fine partita.
A fine turno, tutte le carte giocate come ruolo vanno nella zona comune: potranno essere recuperate soltanto sotto forma di “clienti” oppure di risorse da costruzione. La gestione della mano è quindi molto importante perché le carte possedute possono essere giocate esclusivamente come ruolo, come edificio in costruzione, oppure come risorse da costruzione (tramite l’artigiano). Ovviamente avere meccaniche di gioco semplici permette una differenziazione “spinta” tramite effetti ne ne modificano leggermente i parametri di funzionamento: in Glory to Rome ciò avviene tramite gli edifici.
Ci gioco sempre volentieri anche perché l’interazione diretta e molto limitata (quasi assente) e ciò previene spiacevoli situazioni quando al tavolo ci sono giocatori aggressivi e guerrafondai. Ovviamente la presenza di numerose strategie attuabili per arrivare alla vittoria mitiga la necessità di attaccare a tutti i costi il (presunto) “leader”.
Nonostante i suoi 11 anni, penso che sia un gioco ancora molto interessante. C’è anche un’edizione italiana del 2011 (della quale, personalmente, non amo la grafica) quindi, se vi dovesse capitare, concedetegli un paio di partite. La curva di apprendimento non è ripidissima (per i diversi poteri degli edifici) ma offre comunque molta soddisfazione.