ecco perché mi piace

Kingsburg… senza giri di parole

ImpenitentMeepleAward

Senza giri di parole, Kingsburg è un ottimo gioco che andrebbe giocato con maggior frequenza. Sono particolarmente legato a questo titolo che, negli ultimi dieci anni (da quando è stato pubblicato), ho giocato moltissime volte senza mai rimanerne deluso. Sia che perdiate perché siete scarsi per colpa del fato avverso, sia che vinciate perché avete più culo che anima dominando la sorte con la vostra fine strategia, state tranquilli perché la vostra autostima sarà sempre salva.

Mi posso ritenere fortunato: ho conosciuto Kingsburg (Andrea Chiarvesio e Luca Iennaco, 2007) in quella che sono solito definire “l’età dell’oro dei giochi da tavolo”, ovvero negli anni dove una “crescita sostenibile” era ancora possibile e i giocatori, quelli veri, avevano poco da spartire con i “consumatori” da una-botta-e-via. Purtroppo molti giocatori sembrano credere che bastino un paio di partite per cogliere tutte le potenzialità di un titolo: nulla di più sbagliato. Come per le persone, dopo una oppure due partite, si riesce ad intuire “a pelle” se il gioco può andare bene per noi, oppure no; per una valutazione più oggettiva serve necessariamente più tempo.

Kingsburg

Tutti i giochi hanno una curva di apprendimento, più o meno ripida, e tutti i giochi richiedono di effettuare un discreto numero di partite prima di riuscire a padroneggiarne le dinamiche. Kingsburg non fa eccezione anche se si presta a livelli differenti di profondità di gioco:  può essere giocato in modo “leggero”, oppure può essere approcciato come un “cinghialetto” di peso medio. Mi fa sempre sorridere leggere i commenti di giocatori da-una-botta-e-via che sostengono che Kingsburg sia solo una questione di culo di fortuna: se provate a giocare contro un giocatore che padroneggia il gioco, nove volte su dieci, verrete teneramente asfaltati.

Trattandosi di un piazzamento lavoratori ad influenza variabile (ovvero i dadi), è ovvio che l’alea sia presente… tuttavia non è assolutamente “dominante”. In Kingsburg è necessario effettuare scelte di breve, medio e lungo periodo, sovrapponendo ad un approccio tattico una visione strategica che deve necessariamente affiancarsi ad una continua gestione del rischio. 

Il tiro dei dadi obbliga, in un’ottica di “brevissimo periodo”, ad approcciare in modo tattico ogni stagione produttiva cercando di ottimizzare al meglio il risultato ottenuto; i giocatori sono tuttavia consapevoli di avere anche l’obiettivo di “medio termine” di raggiungere un determinato livello di forza per la battaglia di fine anno. Spesso capita di iniziare l’anno con grandi aspettative e di ritrovarsi poi, in autunno, a “tirare la cinghia”, magari rinunciando ad un particolare edificio, per racimolare qualche supporto militare in più. Infine, è necessario adottare una pianificazione strategica “fluida” che permetta, sul lungo periodo, di “spremere” il maggior numero di punti vittoria dalle meccaniche di gioco.

L’alea, come dicevo, è sicuramente presente sebbene possa (anzi, debba) essere gestita accuratamente tramite gli strumenti messi a disposizione: gettoni che modificano i dadi utilizzati (+2), edifici che permettono di rilanciare i dadi oppure di alterarne il valore, gli aiuti del Re, ecc. Se volete sapere come identificare chi parla senza conoscere il gioco, soffermatevi su frasi del tipo: “per forza lui ha vinto… ha tirato solo punteggi alti“. In Kingsburg il vero problema (se vogliamo trovarne uno) è avere dadi uguali a quelli degli altri giocatori (che magari ci precedono) oppure avere tutti numeri pari.

Kingsburg

Imparare a sfruttare al meglio le caratteristiche dei differenti edifici è, ovviamente, condizione necessaria per avere qualche possibilità di vittoria. Anche il timing di costruzione non deve essere in alcun modo sottovalutato.

Un altro aspetto che trovo particolarmente azzeccato è il flusso di gioco, articolato in anni, a loro volta suddivisi in stagioni, con il “boss di fine livello” sempre più forte. Questa sensazione da “Winter is coming”, che accompagna tutta la partita, modula la curva di attenzione e crea dei climax ludici che trovano il proprio apice nella rivelazione del mostro da sconfiggere.

Due parole sulla seconda edizione: molto bella.

Per dieci anni ho giocato con l’edizione “classica” (ovviamente munita di espansione) e quindi, principalmente per motivi “affettivi”, non riesco ad apprezzare completamente l’artwork della seconda edizione: è un mio limite. Oggettivamente trovo che i materiali, nel complesso, abbiano subito un miglioramento rispetto all’edizione precedente. Peccato soltanto che le plance degli edifici siano meno “leggibili”… comunque l’esperienza di gioco non ne risente.

Concludendo, penso che Kingsburg sia un ottimo gioco che andrebbe assolutamente provato e giocato, almeno due o tre volte. Leggendo il regolamento (fatelo!) vi accorgerete di come si possa ottenere un ottimo gioco complesso partendo da una dozzina di regole estremamente semplici e molto intuitive.

impmeeawd_Kingsburg


Da qualche parte ho ancora il “quaderno dei giochi” che usavo per annotare alcune delle idee riguardanti futuri “giochi nel cassetto”. Ricordo che nel 2006 dedicai un po’ di tempo nel cercare di trasporre e modificare la meccanica che mi aveva intrigato in Roma (Stefan Feld, 2015), dove si usano 3 dadi singoli per influenzare 8 spazi azione (6 legati al numero e 2 spazi bonus), con lo scopo di utilizzarla con combinazioni di 2 dadi per l’attivazione di azioni specifiche… l’anno dopo uscì Kingsburg che sfruttava combinazioni di 3 dadi.

 

 

 

 

 

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