ecco perché mi piace

Imperial 2030 …ecco perché mi piace.

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“Io non creo niente: io posseggo. E noi facciamo le regole: le notizie, le guerre, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo. Tiriamo fuori conigli dal cilindro mentre gli altri, seduti, si domandano come accidenti abbiamo fatto. Non sarai tanto ingenuo da credere che noi viviamo in una democrazia: vero, Buddy? È il libero mercato, e tu ne fai parte”

Siamo nel 2016, ma potrebbe essere il 1890 oppure il 2030, e noi, da bravi investitori svizzeri, diamo un’occhiata agli spread dei titoli di stato europei rispetto ai bund. Il nostro obiettivo è molto semplice, vogliamo comprare il debito pubblico dei Paesi europei in modo da “mettere in morsa” gli zebedei dei loro governanti e poter decidere come agirà l’Europa nei confronti delle altre Superpotenze. Ovviamente a noi interessano i soldi, tutto il resto deve stare in secondo piano. Sembra facile ma non è così: tra Ginevra e Zurigo, alcuni nostri amici del ristrettissimo club degli Illuminati hanno deciso che arricchirsi smodatamente è un passatempo estremamente divertente.

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Il principio di base non è complicato: controllare il debito pubblico vuol dire controllare il governo; controllare il governo vuol dire controllare gli investimenti, la tassazione, la spesa e l’espansione militare, ovvero decidere come collocare le nuove emissioni di titoli di stato. Da bravi giocatori sappiamo che il nostro pianeta è un sistema chiuso e che controllare l’Europa non è sufficiente per garantirne la crescita economica. Dobbiamo considerare anche le politiche espansionistiche di Russia, America, Brasile, India e Cina: tutti vogliono incrementare il loro potere ma le risorse sono limitate.

Il secondo aspetto che dobbiamo considerare è che è sempre meglio diversificare i nostri investimenti, principalmente per due motivi. Il primo motivo è che, se ci limitassimo a sviluppare esclusivamente l’Eurozona, gli altri investitori svizzeri potrebbero utilizzare le altre Superpotenze contro di noi, limitando pesantemente i nostri risultati. Il secondo è  che nulla vieta che qualcuno riesca ad acquistare più titoli di stato di noi, diventando il nuovo burattinaio del Paese. Essere buttati fuori da “la stanza dei bottoni” non è mai piacevole.  Dobbiamo quindi cercare di manovrare più governi, magari arrivando a farli combattere tra di loro, in modo da penalizzare gli Stati nei quali i nostri avversari sono complessivamente maggiormente esposti; ovviamente dobbiamo anche saper decidere quando è il momento di abbandonare il controllo di una Potenza  che non ha più nulla da dare.

Il terzo punto da non dimenticare è che “ciò che è importante per gli altri investitori, è importante anche per noi”. Se uno Stato acquista potere (ed ha ancora potenziale da esprimere) meglio investirci anche se non siamo noi a tenere le redini: beneficeremo comunque degli interessi che verranno pagati e del risultato finale.

Imperial 2030 (Mac Gerdts, 2009) è un grandissimo gioco che richiede sia valutazioni tattiche, sia pianificazione strategica; non ci sono obiettivi segreti, l’effetto fortuna è nullo, e occorre intuire come si muoveranno gli avversari. Uno degli elementi che più mi intriga è il poter considerare ogni Superpotenza come una specie di “bot” potenzialmente guidato, nel corso della partita, da tutti i giocatori. Durante ogni round di gioco sono gli Stati ad agire “a tuno”, non i giocatori: quando è il turno dell’Europa, ad esempio, è il giocatore che la controlla in quel momento a decidere quale “programma” attivare tra quelli disponibili (tassare la popolazione, costruire industrie, produrre nuovi armamenti, muovere le unità militari, ecc). Semplificando molto, immaginate una partita a Risiko nella quale voi non tenete le armate rosse ma potete usarle per invadere, prendere rinforzi, ecc,  finché potete pagare più degli altri; se avete abbastanza denaro, dopo aver gridato “Kamchatka o morte” dal vostro carrarmatino rosso, potrete anche invadere l’India usando le armate nere.

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