La faccio breve (per chi ha fretta di scoprire l’assassino): credo che il mercato “parallelo” dei giochi usati possa essere uno strumento utilissimo per potenziare il “sistema immunitario” del (micro)ecosistema del gioco da tavolo. Ovviamente, più che ai “casual gamers”, faccio riferimento alla setta degli “hardcore gamers”, molti dei quali stanno vivendo una lenta ( e forse inconsapevole) trasformazione da giocatori a consumatori.
Il mercato dell’usato toglie sempre più risorse (economiche) ad una parte del mercato tradizionale e, tramite una pseudo “selezione naturale”, accelera il processo evolutivo che agisce sia sui prodotti (pensate al “Legacy”), sia sulla filiera (pensate al fenomeno “Kickstarter”). Su questo punto ritornerò al termine della riflessione.
L’elevata sensibilità al prezzo di giocatori cinghialuti, abituati a massimizzare qualsiasi tipo di trasformazione di risorse, finisce frequentemente per spostare il focus dal valore al prezzo (senza che spesso se ne conosca la differenza): “Ho visto che hanno iniziato a buttar fuori i preordini di Specie Dominanti. Mi chiedo, senza polemica, ma 80€ per un gioco con cubetti, tessere e carte non sono eccessivi? Oppure in questa nuova edizione i cubi sono stati sostituiti con delle miniature?”.
Acquistare giochi usati azzera il deprezzamento potenziale qualora si decidesse di rivendere il titolo: chi rivende un gioco nuovo perde circa dal 30% al 50% della spesa iniziale, chi rivende l’usato non perde nulla… un titolo, se ben conservato, può “passare di mano” tre o quattro volte senza subire alcun ulteriore deprezzamento… sempre che il prezzo “del nuovo” possa ancora avere un qualche significato come “riferimento”.

Ricorrere al mercato dell’usato, per alcuni giocatori, non è più una semplice scelta: è una necessità dettata dai limiti fisici della propria abitazione (vedi anche Non aprite quella scatola). Tralasciando l’opzione “accumulatori seriali”, lo spazio nelle nostre abitazioni è finito e può contenere un numero massimo di scatole. Durante la fase espansiva l’unico limite invalicabile sembra essere il budget disponibile. Quando lo spazio inizia a scarseggiare, la dinamica di acquisto cambia e si inizia a dare maggior peso ai parametri di valutazione personali (tasso di utilizzo, costo su numero di ore di gioco attese, ecc). In alcuni casi i giocatori preferiscono affittare dei monolocali oppure dei box aggiuntivi, in altri casi, dopo aver saturato anche il bagno e la cuccia del cane, si deve obbligatoriamente inserire la regola del: “uno entra e uno esce” (i giochi sono indeformabili/incomprimibili e il volume disponibile finito). Ciò genera un flusso di giochi verso il mercato dell’usato o della raccolta differenziata.
Qualche giorno fa ho trovato una riflessione di un “addetto ai lavori”, M.Cortese, che nella sua pagina Facebook affrontava brevemente il tema del “mercato in crescita”. Tre passaggi, strettamente connessi, mi hanno colpito particolarmente. Il primo riguarda le diverse velocità di crescita di consumatori e prodotti: “Siamo in crescita, ma la crescita non sta andando alla stessa velocità dell’incremento industriale di prodotto. In altre parole i consumatori del gioco da tavolo aumentano gradualmente, mentre la produzione di prodotti destinati a questi consumatori aumenta esponenzialmente.”. Il secondo è riferito al trade-off tra quantità e longevità, che finisce anche per ripercuotersi sulla qualità: “Viviamo in un mercato iperproduttivo, che sta gonfiando gli scaffali fisici e virtuali di troppi prodotti. E non è solo la quantità il problema ma anche la qualità all’interno delle scatole che acquistiamo. Abbiamo un livello di diversificazione davvero molto basso, un game design spesso poco innovativo, una cura degli aspetti di longevità del prodotto quasi inesistente.” Infine l’aumento del “rumore di fondo”, che rende molto difficile trovare la qualità che ancora è presente: “Capiamoci: giochi belli, profondi e di qualità escono. Ma la loro diluizione nel mare di questa iperproduttività li rende davvero tesori da cacciare, mete da raggiungere”.
Questa riflessione finale riassume alcuni degli argomenti che ho provato a condividere negli ultimi tre anni. Un tema riguarda l’informazione/divulgazione ludica: come scrissi ne “Il Gioco, il Blogger e il Pusher“, gli articoli interessanti (e curati) sono ormai diluiti nel flusso informativo ludico, per riuscire a trovare quelle poche perle pregiate bisogna avere l’olfatto di uno squalo. Anche il mondo “fisico” si è mosso nella stessa direzione e con criticità simili: rispetto alla dozzina di nuovi titoli di una decina di anni fa, le centinaia di titoli che escono ogni anno rendono la vita difficile al giocatore che cerca di individuare (e selezionare) i prodotti di qualità.
Affrontai questo secondo tema, ovvero la “qualità” dei prodotti, in una riflessione sulla “Decrescita Ludica“. Mi rimane tuttora la sensazione che l’incremento (con derivata seconda positiva) dei titoli pubblicati ogni anno ne abbia abbassato la qualità media complessiva e abbiano reso più difficile trovare giochi “over the top”: i giochi belli (almeno per ora) continuano ad esserci, il problema è trovarli tra quelli mediocri. Sempre rispetto alla categoria “german setolosi e selvaggi”, per autori ed editori potrebbe non essere più un fattore critico di successo la qualità delle meccaniche: perché “stressare” la robustezza delle meccaniche quando, in una sorta di (pseudo)obsolescenza programmata, un titolo viene giocato 3-4 volte? Ho provato a dare un’occhiata all’incremento dei giochi prodotti negli ultimi anni dagli autori: in molti casi, da un gioco ogni due (o tre) anni siamo passati a due giochi all’anno. (Ricordo il viaggio di ritorno da Essen, due anni fa, in cui due autori italiani, seduti nei posti davanti a me in aereo, scherzavano sullo sviluppo di un loro gioco, appena uscito, che era stato ideato, non molti mesi prima, in un viaggio in auto di tre ore: ovviamente decisi di non acquistarlo in alcun caso.)
Cerchiamo ora di semplificare e di rimettere insieme i vari pezzi del puzzle.
Quali possono essere i fattori diretti e indiretti che spingono la crescita del mercato dell’usato? Eccone alcuni strettamente correlati: troppi prodotti e iperproduzione, comunicazione finalizzata alla necessità di raggiungere sempre più velocemente il tipping point, aumento medio dei prezzi, diminuzione della qualità media dei titoli, diminuzione del tempo dedicato al singolo gioco, necessità di liberare spazio per i nuovi acquisti… Da un certo punto di vista questi sono anche alcuni dei “mali”, sconosciuti fino a qualche anno fa, che affliggono molti dei giocatori di oggi.
Acquistare (e rivedere) giochi usati, come spiegavo nell’introduzione, da un lato permette di provare molti titoli nuovi ad un prezzo ridotto, dall’altro minimizza l’impatto economico di un eventuale errato acquisto. Il mercato dell’usato ha anche un effetto secondario molto utile: permette di “separare il grano dal loglio”; i giochi “belli” sono difficilmente reperibili a prezzi accettabili e i giochi “brutti” facilmente acquistabili per un tozzo di pane raffermo.